Il gazzillòro(così si
chiamava noi) è un coleottero. E' infatti uno scarabeo, grande più o meno
quanto la prima falange di un dito, di un bellissimo color verde
"metallizzato" con riflessi color rame; a volte, a inizio Primavera,
qualcuno di questi animaletti si poteva trovare nelle strade di Fontebranda.
Ora non venite a chiedermi come faceva un insetto di tal fatta ad arrivare in
Via della Galluzza piuttosto che in Via Santa Caterina o nel Vicolo del
Tiratoio perché non saprei che dirvi; fatto è che c'era.
I ragazzi
più piccini (ma mica tanto) se ne servivano per un passatempo leggermente
perverso. Si legavano una estremità di un lungo filo ad un dito della mano,
annodavano l'altra estremità ad una delle gambe posteriori del povero
animaletto e poi lo gettavano in aria: il gazzillòro apriva le ali per
volarsene via ma, essendo attaccato al filo era costretto a girare in cerchio
intorno alla testa del suo carceriere, con il caratteristico ronzìo dei
coleotteri incavolati. Da qui il divertimento del suo proprietario e degli
altri ragazzi che assistevano alle evoluzioni obbligate dell'insetto. Ci si
divertiva con poco, a quei tempi.
Per ora
lasciamola qui; riprenderemo l'argomento fra un pò. Ora, dovete sapere che a
Siena, oltre ai senesi, c'era un'altra categoria di persone. Erano persone come
noi all'apparenza ma diverse per alcuni particolari. Erano i:
"contadini".
Per
essere definito "contadino" ci voleva poco; bastava esser nato fuori
dalle mura. Attenzione: contadino non era il mezzadro, né il coltivatore (diretto
o meno), né colui che viveva del lavoro nei campi; contadino era quello che,
non essendo nato "nelle lastre", "aveva pagato il Dazio"
per venire in città.
L'appellativo
derivava dai tempi in cui le porte della città di Siena, chiuse alla
sera, venivano riaperte alla mattina, e una piccola folla di contadini
(questi veri), ortolani e piccoli allevatori provenienti dalle campagne
circostanti, faceva la fila davanti allo sportello del Dazio per pagare la
tassa richiesta per poter entrare in città e vendere i loro prodotti.
Ora, nel
dopoguerra, le porte della città restavano sempre aperte e il Dazio non c'era
più, ma "i contadini" (almeno quello che la tradizione popolare
considerava gli attributi di tale gente) restavano.
E poiché
i contadini erano facilmente riconoscibili sopratutto per il grande, tozzo
ombrello di ruvida tela verde che portavano immancabilmente con sé, il popolo
di Siena rapportando il verde di tale ombrello con il colore del ronzante
coleottero, fatta una facile traslitterazione logica, chiamò i contadini,
semplicemente, facilmente, irrimediabilmente: gazzillòri.
"Gazzillòri" furono quindi chiamati (per estensione)
tutti coloro che risiedendo, non nella città vera e propria, nell'unica e
originale "Sena Vetus", bensì "fuori dalle mura", non
avevano il diritto (e non lo avrebbero mai avuto fossero campati cent'anni) di
venir considerati senesi genuini, senesi veri, senesi doc.
Questi
disgraziati si sentivano dar del "gazzillòro" non appena si
azzardavano incautamente a metter bocca su argomenti riservati solamente a noi,
gli eletti; noi che avevamo avuto la fortuna di esser nati "nelle
lastre" e potevamo a buon diritto parlare di tutto quello che riguardava
Siena e le sue tradizioni; a loro era vietato occuparsene e non gli era permesso
metter bocca su questioni di Palio, di Contrada, di famiglie senesi, di ricette
tradizionali, di storia, di usanze nostrane e comunque di argomenti risalenti
alle tradizioni contradaiole e senesi in generale. Se uno di costoro si provava
ad obiettare, che sò? su come si gira la bandiera, o dove corrono i confini di
una certa contrada, o su chi era nipote di chi, o su quanti Pali avesse vinto
il tal fantino, o se nei carciofi lessi ci va il dragoncello, c'era subito uno
che, con la solidarietà di tutti i presenti, lo redarguiva con l'epiteto
infamante: "Ma ti zitti te, gazzillòro!".
A poco a
poco il termine divenne un attributo comune, usato per indicare qualche
comportamento desueto, o qualunque atteggiamento cafonesco o eccessivamente
naif..
Bisognava stare anche bene attenti a come ci si vestiva (anche se la varietà che ci era permessa era pochina...). Se i pantaloni erano lunghi o avevano la rovescia (al tempo dei primi jeans); se i capelli erano troppo corti o con la scrinatura nel mezzo; se la giacchetta era troppo stretta; se la camicia era troppo fuori misura... occhio!
Poteva scattare (e stavolta a prescindere se si era nati dentro o fuori le mura) il temutissimo commento (fatto a voce altissima, meglio se in presenza del maggior numero di persone presenti, con la mano tesa a indicare senza possibilità di scampo il disgraziato oggetto del pubblico ludibrio): "Ma te lo badi te, che popò di gazzillòro!!".