martedì 6 settembre 2011

Sulle scale

Io, Mario e Luciano
Caldo, doveva far caldo, a giudicare dalle maniche corte. E poi, si vede che non ci s'aveva niente da fare, così in quell'estate degli anni Cinquanta (a occhio il 1954 o il 1955), eccoci in posa tutti e tre (io, Mario Parmigiani e Luciano Collini) sulle scalette accanto al pozzo del Santuario di Santa Caterina. 


La foto è
sintomatica di un'epoca che mi appare remota. Ma te l'immagini oggi tre ragazzi di 14-15 anni vestiti in questo modo? (scarpe "normali" con calzini, maglietta e pantaloni stirati..) Te li immagini in una posa come questa? (seduti, calmi, composti, sguardi sull'obiettivo..). Nessuno che indossi le infradito, i bermuda a fiori o la t-shirt con il logo e la scritta cubitale sul petto; e nessuno che faccia gesti strani, tiri fuori la lingua o mimi un accenno di rissa, così, per ridere..
Ne è passata di acqua sotto i ponti e non si sa più se si stava meglio quando si stava peggio...

lunedì 5 settembre 2011

LESSICO FONTEBRANDINO - Gazzillori

Il gazzillòro(così si chiamava noi) è un coleottero. E' infatti uno scarabeo, grande più o meno quanto la prima falange di un dito, di un bellissimo color verde "metallizzato" con riflessi color rame; a volte, a inizio Primavera, qualcuno di questi animaletti si poteva trovare nelle strade di Fontebranda. Ora non venite a chiedermi come faceva un insetto di tal fatta ad arrivare in Via della Galluzza piuttosto che in Via Santa Caterina o nel Vicolo del Tiratoio perché non saprei che dirvi; fatto è che c'era.

I ragazzi più piccini (ma mica tanto) se ne servivano per un passatempo leggermente perverso. Si legavano una estremità di un lungo filo ad un dito della mano, annodavano l'altra estremità ad una delle gambe posteriori del povero animaletto e poi lo gettavano in aria: il gazzillòro apriva le ali per volarsene via ma, essendo attaccato al filo era costretto a girare in cerchio intorno alla testa del suo carceriere, con il caratteristico ronzìo dei coleotteri incavolati. Da qui il divertimento del suo proprietario e degli altri ragazzi che assistevano alle evoluzioni obbligate dell'insetto. Ci si divertiva con poco, a quei tempi.
Per ora lasciamola qui; riprenderemo l'argomento fra un pò. Ora, dovete sapere che a Siena, oltre ai senesi, c'era un'altra categoria di persone. Erano persone come noi all'apparenza ma diverse per alcuni particolari. Erano i: "contadini".
Per essere definito "contadino" ci voleva poco; bastava esser nato fuori dalle mura. Attenzione: contadino non era il mezzadro, né il coltivatore (diretto o meno), né colui che viveva del lavoro nei campi; contadino era quello che, non essendo nato "nelle lastre", "aveva pagato il Dazio" per venire in città.
L'appellativo derivava dai tempi  in cui le porte della città di Siena, chiuse alla sera, venivano  riaperte alla mattina, e una piccola folla di contadini (questi veri), ortolani e piccoli allevatori provenienti dalle campagne circostanti, faceva la fila davanti allo sportello del Dazio per pagare la tassa richiesta per poter entrare in città e vendere i loro prodotti.
Ora, nel dopoguerra, le porte della città restavano sempre aperte e il Dazio non c'era più, ma "i contadini" (almeno quello che la tradizione popolare considerava gli attributi di tale gente) restavano.
E poiché i contadini erano facilmente riconoscibili sopratutto per il grande, tozzo ombrello di ruvida tela verde che portavano immancabilmente con sé, il popolo di Siena rapportando il verde di tale ombrello con il colore del ronzante coleottero, fatta una facile traslitterazione logica, chiamò i contadini, semplicemente, facilmente, irrimediabilmente: gazzillòri.

"Gazzillòri" furono quindi chiamati (per estensione) tutti coloro che risiedendo, non nella città vera e propria, nell'unica e originale "Sena Vetus", bensì "fuori dalle mura", non avevano il diritto (e non lo avrebbero mai avuto fossero campati cent'anni) di venir considerati senesi genuini, senesi veri, senesi doc.

Questi disgraziati si sentivano dar del "gazzillòro" non appena si azzardavano incautamente a metter bocca su argomenti riservati solamente a noi, gli eletti; noi che avevamo avuto la fortuna di esser nati "nelle lastre" e potevamo a buon diritto parlare di tutto quello che riguardava Siena e le sue tradizioni; a loro era vietato occuparsene e non gli era permesso metter bocca su questioni di Palio, di Contrada, di famiglie senesi, di ricette tradizionali, di storia, di usanze nostrane e comunque di argomenti risalenti alle tradizioni contradaiole e senesi in generale. Se uno di costoro si provava ad obiettare, che sò? su come si gira la bandiera, o dove corrono i confini di una certa contrada, o su chi era nipote di chi, o su quanti Pali avesse vinto il tal fantino, o se nei carciofi lessi ci va il dragoncello, c'era subito uno che, con la solidarietà di tutti i presenti, lo redarguiva con l'epiteto infamante: "Ma ti zitti te, gazzillòro!".
A poco a poco il termine divenne un attributo comune, usato per indicare qualche comportamento desueto, o qualunque atteggiamento cafonesco o eccessivamente naif..
Bisognava stare anche bene attenti a come ci si vestiva (anche se la varietà che ci era permessa era pochina...). Se i pantaloni erano lunghi o avevano la rovescia (al tempo dei primi jeans); se i capelli erano troppo corti o con la scrinatura nel mezzo; se la giacchetta era troppo stretta; se la camicia era troppo fuori misura... occhio!
Poteva scattare (e stavolta a prescindere se si era nati dentro o fuori le mura) il temutissimo commento (fatto a voce altissima, meglio se in presenza del maggior numero di persone presenti, con la mano tesa a indicare senza possibilità di scampo il disgraziato oggetto del pubblico ludibrio): "Ma te lo badi te, che popò di gazzillòro!!".

 
Quelli dell'Incrociata © 2008