domenica 7 agosto 2011

I GIOCHI - 1 Pistole e fulminanti

In quegli anni in Fontebranda noi ragazzi non ci s'annoiava di certo; per divertirci bastava poco: si poteva addirittura scegliere tra cento giochi diversi e senza bisogno di giocattoli (che quelli si vedevano, e pochi, solo per il Ceppo o in certe ricorrenze straordinarie), e anche, parrà strano, senza bisogno della televisione, dei giochini elettronici, dei Wi-Fi e di tutte quelle seghe tecnologiche che rendono il cervello di chi ne abusa simile alla Piazza del campo la mattina del giorno che segue il Palio: una specie di caotica pattumiera. Noi invece l'avevamo la creatività; eccome se l'avevamo! La situazione generale di quei tempi a dire il vero aiutava molto il nostro spirito di iniziativa e contribuiva a sviluppare le inventive di ognuno. Dunque: soldi non ce n'erano, divertire bisognava pur divertirsi (eravamo ragazzi, diamine!) e così ci si arrangiava in mille modi. 
I nostri giochi avevano pochissime regole in comune: erano collettivi e si svolgevano in strada (tutto, accadeva in strada). Nella scelta dei giochi si andava secondo la moda del momento, sarebbe a dire: a sbornie. Uno tirava fuori un gioco nuovo e, se era interessante, tutti lo seguivano.
C'erano diversi tipi di giochi; parliamo dei giochi guerreschi.

Prima vennero le pistole. Siccome necessitava sborsare dei soldi (che non c'erano) le famiglie regalavano questo tipo di giocattolo principalmente a Natale, quando, bene o male, uno straccio di regalo bisognava pur farlo ai ragazzi! Si trattava di pistole di latta stampata o di piombo o di stagno e perfino (in alcuni casi) di ghisa (io ne avevo una di ghisa!). Le prime pistole erano mute e per farle sparare non si poteva far altro che gridare un bel "Pam!" all'indirizzo dell'avversario colpito. Poi vennero i fulminanti; premendo il grilletto della pistola, il cane batteva nel fulminante ed ecco un bel bòtto ad incrementare il realismo dell'azione. I primi fulminanti erano del tipo "a nastro"; erano cioè contenuti, uno di seguito all'altro su un nastrino arrotolato di carta rossa. Premendo il grilletto si faceva esplodere il fulminante e contemporaneamente avanzare il nastro di uno scatto. Oddio, spesso i fulminanti facevano cilecca (quasi "tutti" i fulminanti della mia pistola di ghisa, facevano cilecca): si premeva il grilletto, il cane scattava e non succedeva niente. Niente scoppio, niente botto, solo un puzzìcchio di fosforo bruciato; insomma, nessuna soddisfazione. Presto i fulminanti a nastro vennero soppiantati da quelli a capsula, che si inserivano nelle pistole a tamburo. Questi avevano il difetto (gravissimo) di essere più costosi ma, a dire il vero, non fallivano un bòtto. In quei giorni le strade intorno all'Incrociata risuonavano di scoppi (le battaglie a pistolettate, uno contro uno, o una banda di ragazzi contro un'altra, non finivano mai) e questi, mischiati ai "Fatela finita, figliol di tr...!" urlati dalle mamme alle finestre e dai rari passanti, contribuiva a fare di quei pomeriggi (che sarebbero stati banali e noiosi in qualunque altro luogo del mondo), delle specie di happening animatissimi e piene di confusione, grida, baruffe e rumori come oggi succede solo nelle più distinte discoteche, il sabato sera.
Le pistole erano diventate di moda, da noi ragazzi, da quando non passava settimana che al Senese, il cinema più popolare della città (e quindi il meno caro, e quindi il più frequentato dai ragazzi), non dessero un film "di indiani", e comunque, anche senza andare al cinema, sarebbero bastati gli amatissimi giornalini di Pecos Bill a farci sognare di poter rivivere anche da noi, in Fontebranda, le avventure che capitavano settimanalmente all'eroe, laggiù, nel selvaggio West.

Oddìo, con le pistole ci si divertiva il giusto (cioè poco) perché più di puntarla addosso al nemico e premere il grilletto non si poteva fare. E inoltre, come ho detto, c'era anche il rischio che il fulminante non scoppiasse o che sorgessero contestazioni su chi aveva colpito chi o chi era stato il primo a sparare. Risultato: la moda delle pistole durò poco. Avevamo bisogno di ben altro, noi.

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